un impiegato in favela

L’urlo di un sedicenne, due mesi di violenza a Rio

In Finestra sulla favela Rocinha, Oltre la favela Rocinha, Storie di Pacificazione on 20 febbraio 2014 at 19:42


Si avvertono i lettori che seguono immagini e racconti di violenza: è parte di quanto è capitato nelle ultime settimane nella città che ospiterà la finale della Coppa del Mondo 2014 e le Olimpiadi 2016.

Roupa Suja vuol dire “panni sporchi”, e si chiama così perché una volta in questo quartiere di Rocinha c’era una lavanderia e la gente ci andava con i panni sporchi per lavarli. È stato uno dei primi insediamenti di Rocinha, e si sviluppa in vicoli tortuosi e stretti a ridosso del tunnel Zuzu Angel, da dove tutto ha avuto principio, e a cospetto della grande Pietra che si affaccia a strapiombo sulla favela. Roupa Suja è il quartiere nel quale, verso il confine con la foresta, ci sono ancora le baracche di legno, fango e lamiera, che rischiano di venir giù con le foglie secche e una zolla di terra che smotta, quando piove forte.

Mentre era in attesa di Flavinho, Flavia non poteva andare a lavorare; era sola, così cominciò ad ospitare nella sua semplice casa di Roupa Suja i bimbi di chi si trovava nella sua stessa situazione, e da allora si guadagna da vivere così. Il suo asilo oggi ospita una quindicina di bimbi: mentre i loro genitori vanno a lavorare, passano il tempo nel salotto di Flavia a mangiare, a dormire, a giocare e a imparare una canzone e a vivere insieme agli altri, ciascuno rispettando lo spazio dell’altro, anche e proprio perché non ce n’è molto. C’è una stanza con quattro o cinque lettini e letti più grandi, e un terrazzo con la vista su tutta la favela dove possono andare a giocare solo i bimbi più grandi. Flavia dona amore e assistenza ai suoi bimbi, e, quando questi tornano a casa, la stanza con i letti torna ad essere la camera da letto sua e dei suoi di figli.

A Roupa Suja, dove c’è l’asilo di Flavia, si dice che abbiano fatto rifugio anche i soldati del narcotraffico, i ragazzi, i meninos.

Me lo sento ancora nelle vene, me lo sento sulla pelle, quell’urlo straziante e continuo, che non finiva mai. L’urlo di disperazione di un ragazzino di sedici anni che era stato colpito alla schiena da una pallottola di ferro della polizia e che stava per morire. Le raffiche erano finite, e tutto era silenzio: tacevano il rombare delle moto, il cigolare degli autobus, il cinguettio dei Ben-Te-Vi, le martellate degli operai, il rimbombare del funky. C’era solo quell’urlo agghiacciante che faceva  tremare la pelle e vibrare le pareti. “Voglio restare in vita, ho capito, non lo faccio più, fatemi tornare a casa, voglio vivere, lasciatemi stare con voi, farò il bravo, voglio tornare a casa, mi comporterò bene, voglio andare a scuola, voglio giocare con i miei fratelli piccoli, voglio stare con la mia ragazza e con la mia mamma, voglio stare con voi, lasciatemi stare con voi, lasciatemi vivere, amo la vita, aiuto”, ci gridava contro quell’urlo che non finiva mai. Poi finì.

Poi fu silenzio.

Passarono i secondi, uno a uno, e poi i minuti, il cielo si rischiarì, tornarono i rumori: prima il vento, poi il cinguettio dei Ben-Te-Vi e dei colibrì, poi le moto, gli autobus, i martelli, la musica, le risate dei bimbi  dell’asilo di  Flavia, e tutto tornò come prima, come sempre.

Nei primi due mesi del 2014 si contano almeno cinque morti assassinati nella favela Rocinha. Non sono stati gli unici episodi di violenza della città. Si propone qui la traduzione integrale di un articolo di Rio on Watch che fa la cronaca delle vicende che hanno originato l’urlo disperato di  un sedicenne prima di morire.

 Delitto e Castigo: Commenti su una settimana di violenza a Rio

In una settimana di violenza estrema nella città di Rio de Janeiro, una serie di incidenti hanno causato reazioni di shock tra i social media, gettando una luce stridente sulla situazione relativa alla sicurezza e sulle diseguaglianze sociali e razziali della città, e hanno provocato un inteso dibattito tra i cittadini che aspirano ad una Rio più sicura.

Scontri violenti nelle Comunità di Rio pacificate

Venerdì mattina scorso, 31 gennaio, l’operatore di macchinari di 33 anni, Edilson Rodrigues da Silva Cardoso, è uscito a fumare una sigaretta davanti a casa in Rocinha ed è stato colpito al petto da un colpo d’arma da fuoco. Così è morto, per una sparatoria tra la polizia e le bande del narcotraffico nella favela della Zona Sud controllata dall’Unità di Polizia Pacificatrice (UPP). Cinque giorni prima, lunedì 27 gennaio, ancora in Rocinha, il sedicenne Thales Ribeiro de Souza è morto a causa di una ferita da colpo d’arma da fuoco nella schiena. Non aveva nessun coinvolgimento nel commercio di droghe (n.d.a. se può fare una differenza, dalla finestra sulla favela risulta invece che questo ragazzo fosse coinvolto sì, nel traffico, a differenza del primo).

 Nella sua Colonna de Jornal do Brasil, il leader di comunità Davison Coutinho ha scritto: “che cosa sta succedendo, che cosa hanno da dire a queste famiglie e a queste comunità terrorizzate il Governatore e il segretario alla sicurezza? Sono stanco di ascoltare scuse. Sarà che le vittime sono giudicate come criminali una volta di più? In fondo, chi viene ucciso in una favela è criminale e chi viene ucciso nell’asfalto (n.d.a. i quartieri ordinari sono chiamati “asfalto”) è vittima.” Non c’è stata nessuna scusa pubblica riguardo a queste uccisioni.

 Le ondate di violenza tra la polizia e le bande del narcotraffico sono continuate nel fine settimana nelle favelas controllate dalla UPP, con sparatorie nella Rocinha, nel Complexo do Alemão e a Vila Cruzeiro. Domenica 2 febbraio, al Parque Proletário di Vila Cruzeiro, l’agente di polizia pacificatrice Alda Castilho, di 22 anni, è stata uccisa da una pallottola alla testa e un altro agente di polizia e due abitanti sono stati feriti. La pagina di Facebook comunitaria, Vila Cruzeiro-RJ, ha postato aggiornamenti nel corso di tutta la giornata di tensioni, e ha condiviso un video di un abitante che riprendeva la polizia pacificatrice che apparentemente stava sparando a caso, ha fornito informazioni a chi voleva tornare a casa e ha denunciato i notiziari che avevano omesso di far sapere che degli abitanti erano stati feriti. Il giorno dopo la pagina Vila Cruzeiro-RJ ha postato: “Ne abbiamo abbastanza di violenza!! Vogliamo la pace e servizi di utilità sociale, perché Vila Cruzeiro è totalmente abbandonata.”

La morte di un agente di polizia di solito provoca una risposta severa da parte delle forze di sicurezza di Rio e dopo il confronto di domenica il segretario alla sicurezza, José Mariano Beltrame, ha annunciato operazioni in 12 aree dove operano le fazioni di narcotrafficanti presumibilmente responsabili della morte di Castilho. Martedì mattina, 4 febbraio, nel corso di una di queste operazioni nel Morro do Juramento, nella zona Nord, sei persone sono state uccise e quattro ferite. Operazioni sincronizzate della polizia hanno avuto luogo a Santa Cruz, a Vila Kennedy e nella Baixada Fluminense.

Reazioni alla recente Operazione di Polizia

Immagini scioccanti delle violente operazioni eseguite presso il Morro do Juramento hanno cominciato a circolare immediatamente. La pagina di Facebook PMERJ FEM, il portale inufficiale della polizia militare di Rio, ha fatto circolare le immagini dei corpi e di una scalinata insanguinata con il commento: “La risposta alle morti del soldato Castilho e del soldato Rocha [ucciso durante la tentata rapina a Marechal Hermes, sabato 1 febbraio], entrambi uccisi nel fine settimana, è in corso”. Il post e la chiara dichiarazione della polizia militare rispetto al suo eseguire uccisioni per vendetta è stata denunciata ampiamente sulle reti sociali dalla comunità e da commentatori di diritti umani. Il post, più avanti, è stato rimosso.

Le immagini sono circolate con commenti quali: “il criminale buono è il criminale morto”, e “diritti umani a umani giusti”, che riflettono l’atteggiamento che giustifica le uccisioni della polizia a Rio. Commentando online, il fotografo di comunità e attivista, Raul Santiago ha postato: “La polizia dichiara guerra/vendetta alla televisione nazionale, entra nella favelas uccidendo a caso, generando fiumi di sangue nelle strade e nei vicoli… Nel frattempo una ipocritica, discriminatoria, comoda società applaude ed esulta di fronte a questo tipo di azione, legittimando l’odio, la morte e il caos.”

Sono messe in discussione la legittimità e la legalità delle azioni di polizia di martedì. Mercoledì il dottore forense Leví Inimá de Miranda ha dichiarato pubblicamente che crede che la polizia abbia realizzato esecuzioni e sabotato qualsiasi possibilità di inchiesta forense portando i corpi all’ospedale. Parlando alla Globo, ha detto: “Posso affermare che gli uomini fotografati erano già morti e che ci sono diffusi segnali di esecuzione. In altre parole, hanno rimosso i corpi per mistificare lo scenario.”

Gli abitanti di favela hanno denunciato a lungo queste azioni illegali e di violenza condotte dalla polizia nelle Comunità e continua a farlo a gran voce. Nell’articolo pubblicato la settimana scorsa nel giornale di Maré “O Cidadão”, il giornalista di Comunità e attivista Gizele Martins ha scritto: “Non ci metteremo mai a stare tranquilli fino a che in favela gli abitanti poveri e neri vengono sterminati. Quello che vogliamo è avere il diritto di vivere in città. Chiediamo il diritto di esistere, di essere, di vivere, di sentirci parte e non il margine di questo sistema che si limita a controlla e a uccidere gli abitanti di favela ogni giorno.”

Attacchi de “I giustizieri” a Flamengo

La settimana scorsa un altro incidente violento, che ha sconvolto molte persone e che ha generato un aspro dibattito, si è verificato nella zona sud del quartiere di Flamengo. Venerdì notte, 31 gennaio, un gruppo di giovani bianchi, di ceto medio, ha torturato un giovane senzatetto nero sospettato di rapina e l’hanno legato nudo al lampione con un lucchetto da bicicletta stretto al collo. L’immagine ha circolato rapidamente sulle reti sociali e il gruppo responsabile, chiamato “I giustizieri”, è stato deprecato e condannato in un dibattito morale.

 Molti abitanti di quartieri come Flamengo, dove il crimine e gli assalti sono aumentati negli ultimi mesi senza una risposta concreta rispetto alla sicurezza, hanno pubblicamente applaudito e difeso i vigilantes assegnando “giustizia alle loro mani”, rivelando un inquietante corrente sottosuolo di paura e odio. I commenti all’incidente su Twitter includono: “Non si tratta di barbarie, è auto-difesa preventiva della società contro i banditi vagabondi”; “È così che si va con questi figli di puttana”; “Doveva essere ucciso”; e “Vi dispiace per lui? Portatevelo a casa allora”.

Commenti simili non sono stati limitati alle reti sociali. Mercoledì, il commentatore, conduttore televisivo della rete nazionale SBT, Rachel Sheherazade, ha detto: “In un Paese che soffre di violenza endemica, l’atteggiamento dei vigilantes è un comprensibile contrattacco. L’attacco ai banditi è quello che chiamo la legittima difesa collettiva di una società priva di uno Stato che si ponga contro lo stato di violenza senza limiti.” La sua diatriba è stata ampliamente diffusa e criticata, anche dall’Ordine dei giornalisti di Rio de Janeiro che ha rilasciato una dichiarazione che denuncia “la violenza simbolica dei recenti commenti” con la quale Sheherazade “ha violato i diritti umani, lo Statuto dell’Infanzia e dell’Adolescenza e ha commesso un crimine.”

Molti, inclusi gli attivisti e i difensori del diritti umani, hanno espresso il loro shock e sdegno nei confronti dell’incidente e dei commenti che ne sono seguiti. Molti hanno puntato il dito sulla continuazione del brutale passato di schiavitù in Brasile, con immagini che hanno confrontato il giovane legato al lampione ai violenti castighi degli schiavi del 19mo secolo. Un immagine del genere sta sotto al titolo: “Il razzismo spesso si confonde con la giustizia da eseguire”. In un famoso articolo della Carta Capital che è stato molto diffuso sui social media, il giornalista Matheus Pichonelli ha scritto: “Questo Paese, che applaude alla giustizia sommaria è lo stesso che ignora la questione storica: la frustata è la causa, non la conseguenza, della tragedia – e questa non è stata abolita con la fine della schiavitù.”

 Le chiare dimensioni sociali e razziali dei crimini e delle tragedie dell’ultima settimana sono state sottolineate da esimi accademici di Rio che hanno commentato gli accadimenti. La professoressa di comunicazione e cultura e commentatrice, Ivana Bentes, ha postato: “C’è solo una guerra in Brasile: quella contro i poveri! L’onda fascista e razzista del neo-schiavizzante Brasile. È lo stesso teatrino di bio-potere, del potere oltre la vita e i corpi dei neri e dei poveri: brutalizzante, irrispettoso dell’umanità, feroce, umiliante e che tende all’odio. I “Giustizieri” imitano la polizia che dalla loro parte eseguono carneficine e massacri utilizzando il divario sociale e la discriminazione razziale come criteri di punizione capitale.”

Il noto esperto di pubblica sicurezza Luiz Eduardo Soares ha pubblicato un post che sottolineava l’ipotesi che la tortura e l’aver legato nudo il giovane uomo nero da parte di un gruppo di bianchi del ceto medio è una reazione inconscia ai “rolezinhos” (n.d.a. flash mob organizzato da giovani di favela che si incontrano a centinaia nei centri commerciali o nei parchi per far festa; a causa di presunti delitti nel corso dei flash mob, la polizia ha spesso reagito con violenza, e sono stati rilevati come un altro tipo di fenomeno causato dal divario sociale) delle settimane scorse che “ha drammatizzato le migrazioni democratiche, eliminando i confini tra il centro e la periferia, destabilizzando il primato ingiusto e violento di classe e di colore.”

Non bastano le questioni di classe e di razza per spiegare i fatti recenti e i problemi di sicurezza di Rio, ma anche la cultura dell’impunità che rende possibili questi incidenti violenti. A Rio, l’impunità pare estendersi a partire dai ladri che commettono quotidiane rapine nei quartieri benestanti e alla polizia e alle bande del narcotraffico che uccidono nelle favelas. In quest’assenza di un sistema funzionante della giustizia, la vendetta – così come praticata dai “Giustizieri” e dalla polizia nell’ultima settimana – finisce per essere vista come un sostituto percorribile.

A proposito dei fatti recenti, all’assemblea State Legislative Assembly di Rio de Janeiro di martedì, il presidente della commissione dei diritti umani e deputato di Stato, Marcelo Freixo, ha messo all’erta contro il confondere la vendetta con la giustizia, e ha convocato un dibattito esteso su quanto accaduto. Ha detto: “È in questo momento che riaffermo la difesa della cultura dei diritti per tutti. Dall’agente di polizia che ha bisogno di condizioni di lavoro migliori fino a ciascuno di questi giovani che sono messi da parte dal mercato del lavoro, che non hanno hai visto rispettato il diritto all’educazione. Non è con una giustizia confusa con la vendetta che costruiremo la democrazia. Questi esempio devono essere ampiamente dibattuti nelle scuole private e pubbliche, in parlamento, nelle chiese, per affermare qualche modello di società vogliamo.”

Nota del 9 di giugno: alcune foto di  questo articolo sono state utilizzate a sproposito da alcuni blog nel contesto della creazione e della diffusione di  un’orrenda bufala che riguarderebbe una presunta e falsa notizia di una pulizia sociale ai danni dei bimbi di strada, in preparazione dei mondiali (la bufala ad opera del danese Mikkel Jensen). A questo  proposito, si  rimanda a questo articolo che prova a fare chiarezza.

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  2. […] ma ben lungi dall’essere pertinente con l’articolo in questione. Come documentato dal blog “Finestra sulla favela” nell’articolo del 20 febbraio scorso in cui essa compare, la foto è stata […]

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  3. […] ben lungi dall’essere pertinente con l’articolo in questione. Come documentato dal blog “Finestra sulla favela” nell’articolo del 20 febbraio scorso in cui essa compare, la foto è stata […]

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